di Lina Furfaro

L’ingegnere Umberto Nobile – direttore dello Stabilimento Militare di Costruzioni Aeronautiche dal 1919 – erano mesi che eseguiva, dall’alto dei palloni osservatorio, alcune decine di lanci e aveva notato che, dopo i perfezionamenti, il paracadute si apriva perfettamente. Ma non era ancora soddisfatto dei risultati. La sera si confidava con Carlotta, che con il suo savoir faire e la sua delicatezza sapeva seguirlo da lontano senza immischiarsi troppo.

Fu qualche giorno dopo che, durante il suo solito giro mattutino nell’hangar di Ciampino, dove l’ingegnere passava molto del suo tempo in quelle operazioni di collaudo, Carlotta lo trovò pensieroso e incerto sul da farsi. Con quel suo sguardo vitreo, il naso aquilino e la mascella marcata, rifletteva silenzioso senza battere ciglio.

La moglie, di dieci anni più grande di lui, lo conosceva bene. Sapeva che quando il consorte era in queste condizioni non andava disturbato né tantomeno provocato. Aspettò che fosse lui a parlare e a dirle cosa non stava andando come desiderava. Si lamentò del fatto che i paracadute in sua dotazione non erano sufficientemente grandi per ciò che aveva in mente. Per la loro dimensione, non avrebbero dimostrato ciò che gli serviva sapere.

«Sono piccoli? Allora costruiscine uno più grande!» suggerì lei con troppa semplicità.

«È quello che mi servirebbe. Ma nessuno finora lo ha fatto!» chiese lui.

«Ti porto io una brava sarta in grado di farlo, tu procura l’occorrente!» lo spronò lei.

Non servirono altre parole. Umberto Nobile si diresse al magazzino dove erano tenuti tutti i paracadute, compresi i teli che servivano a realizzarli. Ne prese un paio, i più grandi che c’erano, e li trascinò fin nella rimessa, poggiandoli alla meno peggio sul grande tavolo centrale.

Passarono pochi minuti quando donna Carlotta fece ritorno accompagnata da Giulia. A quella visione, l’ingegner Nobile non si stupì. Era a conoscenza del rapporto che aveva costruito sua moglie con quella graziosa sarta e ne era felice, sebbene non lo desse a vedere.

«Buongiorno, comandante Nobile, piacere di ritrovarvi. In cosa posso servirvi?» chiese, messasi completamente a disposizione, Giulia.

«Ecco a voi. Cucite lungo il bordo della calotta questi anelli di alluminio!» ordinò con voce autorevole l’ingegnere. «Che siano equidistanti, mi raccomando!» incalzò.

Giulia si mise subito al lavoro. Terminò nel pomeriggio, quando Umberto Nobile e i suoi uomini rientrarono dalla pausa pranzo.

«Ottimo lavoro. Ora ci siamo!» esordì l’ingegnere. «Vedete, una volta in volo il paracadute, gli anelli, sotto il tiro della fune di sospensione, saranno paralleli tra di loro in posizione orizzontale e attraverso di essi l’aria si incanalerà. Questo determinerà una riduzione della resistenza all’avanzamento e ci darà una struttura meno rigida e compatta» spiegò con dovizia di particolari il comandante.

«Funzionerà. Un ottimo espediente!» approvò il tecnico preposto alla guida del gruppo. «Come procediamo adesso?»

Umberto Nobile sapeva che, per avere la certezza che quella trovata funzionasse davvero, era necessario provarlo con un’entità in movimento molto pesante. Quale essere vivente era adatto allo scopo?

«Procuratemi un maiale!» gridò di colpo rivolto ai suoi uomini.

«Un maiale?!» chiese stupito il tecnico. «E dove lo prendiamo?» fece ancora più sbigottito.

«Ma non lo so: andate in un porcile, chiedete a un contadino… siamo circondati da campagne, un maiale si troverà!» sbottò il comandante «Su, sbrigatevi!» incalzò.

La richiesta era arrivata bizzarra alle orecchie dei militari presenti e della stessa Giulia che nel frattempo era stata raggiunta dalla sua fedele amica.

«È fatto così, quando vuole una cosa la chiede e la pretende. Anche se impossibile!» le spiegò donna Carlotta mentre accarezzava la piccola Titina di ritorno da un giro nell’aeroscalo. Ormai era la mascotte di quel posto, profondamente legata al suo padrone e alla sua famiglia. Il comandante Nobile l’aveva salvata dalla vita randagia nel centro di Roma e l’aveva chiamata così perché, quando la vide la prima volta, un uomo nei paraggi stava fischiettando il ritornello della canzone “Io cerco la Titina”, tradotta dal francese da Guido Di Napoli.

«Il suo sogno era diventare un pilota ma ha dovuto rinunciarvi per via della statura, ecco perché diventò un ingegnere e si dedicò completamente ai dirigibili» le raccontò Carlotta.

«Capisco» rispose Giulia, intimorita da quell’uomo che dimostrava carattere e grandi ambizioni.

«Procuratemi un maiale!» continuava a strillare in quella rimessa. La sua voce rimbombava nel vuoto dell’ampio hangar mentre tutti scappavano di qua e di là nell’intento di esaudire le sue richieste. Erano completamente nel pallone, e se anche avessero trovato qualcuno disposto a fornirglielo, si poneva poi il problema del trasporto fino al magazzino.

La voce si diffuse in tutto l’aeroscalo e da lì incominciò a fuoriuscire, inoltrandosi nel centro abitato. Da una bocca all’altra, tutti i Castelli Romani in poco tempo seppero dell’assurda istanza dell’ingegnere Nobile: che fosse uscito di senno? Probabile, già ai tempi della progettazione del nuovo dirigibile per l’esplorazione del mare, battezzato “O” (come Osservatore), si era insinuata una cosa del genere. Ma da quando era stato nominato direttore dello stabilimento, nessuno aveva osato riprendere quell’illazione.

Ben presto, un manipolo di uomini e donne, insieme a tanti ragazzini, si ammassò di fronte all’ingresso dell’aeroscalo. Giungevano da tutte le parti, chi a piedi, chi in bicicletta, i bambini portandosi dietro galline starnazzanti.

Non avevano capito cosa stesse succedendo, ma già l’idea che un maiale stesse per entrare all’interno dell’aeroscalo rendeva la giornata curiosa e fuori dal normale.

I militari nel frattempo avevano provveduto ad acquistare nelle campagne limitrofe l’agognato maiale e a portarlo con un carretto all’interno dell’aeroscalo. Legato con un cappio al collo, gli uomini cercavano di tenere fermo il quadrupede attendendo disposizioni.

«Mettetegli addosso un’imbracatura!» ordinò l’ufficiale con lo sguardo guizzante, accarezzando la sua Titina che teneva tra le braccia.

Ormai era chiaro: l’ingegnere Nobile voleva testare il grande paracadute realizzato con quella nuova tecnica lanciando nel vuoto un maiale. I militari furono felici della proposta, convinti che l’animale sarebbe morto nella caduta e che quindi avrebbero potuto utilizzare le sue carni per un’abbondante cena. Il dirigibile si alzò in volo sopra lo sguardo delle centinaia di spettatori accorse per assistere allo spettacolo. Una volta raggiunta l’altezza necessaria, si fermò in aria.

«Guardate, stanno per lanciare il maiale!» gridò un uomo, indicando con la mano in direzione dell’aerostato.

Gli altri risposero con espressioni di stupore.

Calò il silenzio. Il momento era cruciale. Il grazioso animaletto rosa fece il suo salto nel vuoto, ignaro dell’atroce destino a cui stava andando incontro. Il volo durò pochi secondi, ben presto il paracadute si aprì e l’animale si adagiò leggiadro sul campo di Ciampino. Gli astanti scoppiarono in un applauso fragoroso. Che emozione sentirlo grugnire sotto all’ammasso di tela che gli era caduto addosso una volta toccata terra! Aspettava il dovuto premio.

Il comandante Nobile sorrise soddisfatto della riuscita dell’esperimento. Dall’entusiasmo, abbracciò forte la sua Carlotta, che si sorprese dall’enfasi di queste effusioni a cui di solito non si lasciava andare in pubblico. Poi prese in braccio Titina e le fece fare due giravolte. Lei rispose abbaiando forte.

Giulia a quella scena sorrise.

I militari che avevano atteso l’arrivo del maiale provvidero a liberarlo dell’imbracatura, dispiaciuti per l’esito della prova: avrebbero dovuto rinunciare alla succulenta cena che avevano immaginato.

«Addio, braciole arrostite!» esclamò uno di loro.

Estratto dal romanzo di Lina Furfaro “Un sogno chiamato Ciampino. Una storia d’amore nella città che nasce”

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