di Fabio Massimo Caruso

Ciampino non ha un centro storico e così mi concedo la licenza di attribuirgli questo titolo.

L’impulso sgorga per via del grandioso edificio del Collegio nel centro della città. Mi appare a volte come un essere dai molteplici occhi che si aprono e chiudono andando a ritmo delle fasi cangianti della luce. I fulmini ed i tuoni lo hanno attraversato da decenni suonando e illuminando il teatro della sua pelle scorticata. Tatuaggi degli strumenti del tempo. L’essere mi dà la visione di un’enorme pagina morsa dalla memoria. Un manoscritto trovato tra gli scavi etruschi, pompeiani, egiziani, o nelle vicinanze. Dando sempre retta al visionario che è in me, alcune volte lo immagino come un’isola misteriosa balzata fuori dai fondali accompagnata da sirene e tritoni sotto lo sguardo compiaciuto del dio del mare. Terra emersa spumeggiante nel traffico quotidiano tra il cemento che lo circonda ed i balzi di aeroplani in preda a convulsioni isteriche. Mutevoli nuvole gli corrono sopra, che giocano a rincorrersi come delfini, il vento li accarezza e li trasforma in aquiloni. Questo essere vive e respira, vuole toccarci. Di notte nel caldo delle estati più torride, nei momenti di silenzio assoluto ascolto la sua voce. Per me ormai essa è amica. Comprendo la sua lingua attraversata da epoche, l’eco delle sue ombre e dei suoi riflessi sono uno spartito dove spazio e tempo sono in piena armonia. Dio muove gli orchestrali con la pioggia incessante di sogni. Dio c’è e cammina sui mattoni della memoria.

Sulla sua superficie approdano i sogni, le fantasie delle persone, nonché l’indifferenza. A volte sembra il guardiano della città che veglia sui suoi cittadini e dai suoi squarci attraverso il vento modula dei suoni, come il suono fascinoso di un flauto che desidera entrare nelle abitazioni e condividere ogni cosa.

Chissà quanti desiderano farci un viaggio dentro e avventurarsi di nascosto tra le sue mura.

Gli gira intorno un universo di voci, di relazioni, di rumori e di silenzi, di rabbia, di dolore e di gioia.

Io ho fatto la sua conoscenza avendo frequentato le medie in un’ala dell’edificio, mi ricordo che di tanto e in tanto con alcuni compagni di classe ci avventuravamo nelle vene di questa creatura squarciata, grondante di sangue per le ferite ancora aperte e mai rimarginate.

Vedevamo le decorazioni e lo splendore di quelle rifiniture che vivevano giocose tra i suoni delle nostre voci e le architetture ben disegnate. Mi ricordo bene di quella bellezza che non può andare perduta. A volte mi immagino un suo desiderio struggente di prendere tra le braccia i bambini e potergli raccontare di misteriose creature che popolano i meandri più segreti delle sue articolazioni, oppure di altre fantastiche storie che narrano di un mercato che per incanto nasce nella luna lucente e si estende per i piani della sua anima, un mercato che assomiglia al Gran Bazar di Istambul, dove oro, ornamenti, tappeti, pellami, spezie, profumi e sogni dipingono le sue mura.

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