di Anna Belli
A volte, delle capsule del tempo ci aiutano a capire quanto ci siamo trasformati noi e il nostro mondo. O anche quanto non ci si siamo trasformati.
Una tale capsula del tempo mi è capitata tra le mani qualche giorno fa. È il libro di poesie, intitolato “Viaggio”, che pubblicai nel 1987 con Anni Nuovi.
Quasi quarant’anni. Eppure, il contesto culturale e politico che descrissi allora non è cambiato, nella sua impostazione di base; anzi, è peggiorato. Nel 1987 eravamo nel pieno degli anni Ottanta, da molti considerati favolosi.
Ma anche allora i segni di quello che sarebbe stato c’erano già.
Un’indicazione di lettura: la sorella maggiore è l’Europa, quella minore sono gli USA, perché culturalmente gli USA, senza l’Europa, non sarebbero mai esistiti, anche se entrambe si richiamano alla civiltà greco-romana e cristiana con varie sfumature”
Fu bel tempo, qui da noi in Borea,
con tanto pane caldo e bianco
tutti i giorni sulla mensa
e la crusca
venduta a bei soldini in farmacia.
Fu bel tempo, qui da noi in Borea,
con tante rane gonfie e tronfi
saltellanti in giro per il mondo
spacciandosi per più grandi assai di buoi,
per elefanti, perfino;
con il rumore frenetico
di parole risa azioni
teso ad esorcizzare il vuoto.
Fu bel tempo, qui da noi in Borea,
a pochi passi dal Terzo Millennio,
che fu in cima ai nostri desideri e preoccupazioni,
mentre considerammo il Terzo Mondo
una dominabile variabile matematica.
Fu bel tempo, qui da noi in Borea,
con archi di trionfo
eretti con rimasugli di nobili ideali
sviliti a gridi di guerra;
con le guerre contro i tiranni
combattute in nome dei diritti umani
finché il tiranno non ci pagava il dazio
per detenere il potere.
Fu bel tempo, qui da noi in Borea,
quando mandammo in soffitta Socrate e Boezio, Lessing e Beccari
e tutti gli altri,
e dimenticammo pietas e pietà.
Fu bel tempo, qui da noi in Borea,
quando la sorella minore
impose la sua logica spietata,
e la maggiore si vergognò
ed ebbe paura
di difendere gli ideali buoni in cui credeva.
Fu bel tempo, qui da noi in Borea,
quando non ci rimase altro
che sperare contro ogni speranza,
e contro ogni nostro convincimento più profondo,
che i posteri avrebbero avuto
il coraggio di essere migliori.