di Michele Concilio

La Giornata della Memoria, celebrata lo scorso 27 gennaio anche nella nostra Ciampino tramite eventi promossi dall’Amministrazione Comunale, è un forte richiamo al ricordo delle laceranti ferite di un passato mai troppo lontano.

Ci sarebbe molto da dire, rimarcando situazioni, fatti ed episodi riconducibili a quel terribile periodo, in particolare negli ultimi anni del Secondo Conflitto Mondiale.

Sarà per la connotazione decisamente ferroviaria della nostra Ciampino, interessata da ben 4 linee, con una stazione che si colloca tra le più importanti della Regione Lazio, sarà dicevo per questo aspetto legato alla ferrovia che qui desidero riprendere un fatto, nell’immediato dopoguerra volutamente dimenticato e solo in tempi più recenti portato alla luce.

Mi riferisco al “binario 21”.

Ci troviamo nella stazione centrale di Milano, un complesso monumentale inaugurato nel 1931 e luogo di intenso traffico passeggeri e, all’epoca, anche di merci e servizio postale.

Per queste ultime attività un interessante documentario dell’Istituto Luce, girato in occasione dell’inaugurazione del nuovo complesso, mostra una tecnologia all’avanguardia, rappresentata da un potente carrello elevatore che, dal piano interrato della stazione, posto a livello stradale, consente di trasferire i carri merci e postali, riempiti del materiale scaricato dai camion, dal sotterraneo al livello della stazione, al binario 21.

Mi sono un po’ dilungato su questo aspetto tecnico, ma aiuta a capire l’efferatezza degli avvenimenti succedutisi dall’inverno del ’43 alla primavera del ’45, nello specifico nella città di Milano.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre ’43, la presenza delle truppe tedesche assume i connotati di una reale occupazione. Questo porta anche ad una recrudescenza della repressione degli ebrei condotta attraverso la deportazione verso i campi di concentramento nazisti in Germania e Polonia.

Così a Milano, nella notte, quando la città dorme, i camion militari, carichi di persone da deportare, percorrono le vie del centro per raggiungere la stazione ferroviaria. Lì trovano pronti i carri che, utilizzando l’elevatore, portano il tragico carico sul binario 21, dove, una volta agganciati i vari vagoni, una locomotiva, sbuffando, traina, in un viaggio che dura una settimana, tutto il suo carico per centinaia di chilometri fino ad Auschwitz-Birkenau o altro lager pronto all’accoglienza.

Da Milano Centrale ne partono una ventina e di questi convogli, delle oltre 10.000 persone trasportate, poco si sa.

Ce n’è uno, però, di cui la storia porta una traccia. E’ il treno partito il 30 gennaio del 1944 con 605 persone ammassate nei carri bestiame e giunto ad Auschwitz il 6 febbraio. Di quei 605 esseri umani tornarono a casa solo 14 uomini ed 8 donne, tra queste Liliana Segre, senatrice a vita e nostra concittadina onoraria.

Binario 21: una macchia nella coscienza collettiva nazionale che per troppi anni è stata celata.

Evidentemente, e fortunatamente, la coscienza spinge ad atti riparatori doverosi.

Nel 2013, a distanza di 70 anni, in quel luogo che ha visto tanto dolore e tanta sopraffazione è sorto, curato da un’apposita Fondazione, un Memoriale della Shoah.

All’interno del Memoriale, nell’atrio, è visibile un lungo muro, lacerato al centro. Su di esso vi è incisa la parola INDIFFERENZA, quell’atteggiamento che, a detta della Segre, ha consentito la Shoah.

E’ un luogo nel quale, sostando, il visitatore può, invece, tentare di capire fin dove può arrivare la disumanizzazione dell’essere umano e formarsi nella consapevolezza che cose del genere non debbano mai più accadere.

 

 

21 SUL BINARIO DELLA MORTE

Soffocata da putridi aromi spalla a spalla

con cadaveri eretti dove orbite morte

hanno il nero del niente.

Su rotaie assoldate

i pensieri digrignano i denti mentre l’urlo

rappreso

si fa muto e deriso. Scoppia lenta                                                                    

lacrimevole arresa

– dignità chiede udienza –

ma nell’aria che getta cristalli solo l’ultimo

ferroso viaggio.

Manuela Magi

 

Testimonianza di un’esule istriana

Il 10 febbraio 1947 a Parigi l’Italia firma il Trattato di Pace, sottoscrivendo condizioni, da nazione sconfitta, molto dure e dolorose.

In particolare quel giorno la Penisola perde l’intera Istria che passa sotto l’influenza del regime comunista della Jugoslavia di Tito, animato da ostili intenzioni nei confronti delle popolazioni di espressione italiana.

Inizia un esodo massiccio di uomini, donne, bambini che, in fretta, lasciando pressoché ogni cosa, abbandonano quella terra per raggiungere per ferrovia o per mare la terra italiana. Molti anziani non se la sentono di dare un taglio radicale alle proprie radici e non partono, generando di fatto una dolorosa frattura familiare.

Le cifre di quella forzata migrazione di massa sono spaventose: 350.000 italiani lasciano le proprie case di Pola, Fiume, Zara e centri minori per ritrovarsi in Italia, smistati in vari luoghi, ospitati in veri e propri campi profughi, in attesa di migliore sistemazione. Solo una parte evita questo trauma potendosi appoggiare a parenti residenti in questa o quella città italiana.

L’esodo dall’Istria e dal litorale dalmata per troppi anni è stato dimenticato e solo in tempi più recenti la vicenda è stata “sdoganata” e portata a conoscenza dell’opinione pubblica.

Prendendo spunto dalla data della firma del trattato di pace, nel 2004 è stato istituito il Giorno del Ricordo, che viene celebrato ogni anno in tutti gli ambiti istituzionali della Nazione.

Anche Ciampino ha voluto commemorare la ricorrenza in Sala Consiliare, a conclusione di un percorso iniziato il 27 gennaio, Giornata della Memoria, con un evento in cui il momento clou è stato la testimonianza di Ester Schiavella, un’esule istriana.

La nostra concittadina ha, nella sua interessante esposizione dei fatti, offerto all’uditorio un quadro reale e drammatico dell’epoca. Bambina durante la guerra ha confessato la sua paura per quanto i suoi occhi potevano osservare. Emozioni tanto diverse da quelle sperimentate prima del conflitto, vivendo in una terra che, nonostante differenze linguistiche, culturali e religiose, ospitava popolazioni pacifiche, in armonia, rispettose ed accoglienti.

Poi, al termine della guerra qualcosa, se possibile, ancora di peggio: il dover lasciare tutto, la propria casa di Pola, tanti amici e conoscenti, i nonni renitenti a lasciare il suolo natìo, prendere poche masserizie ed imbarcarsi sulla motonave che, traversato l’Adriatico, l’avrebbe sbarcata con la sua famiglia e tanti altri esuli in un porto italiano per iniziare una nuova, e sconosciuta, vita.

Ester, in questa situazione drammatica, ammette che è stata più fortunata di altri, evitando il campo profughi perché parenti si sono offerti di accogliere la sua famiglia a Genova, ma è evidente che resta pur sempre un male minore ed i sogni di una bambina infranti.

La parte più toccante della sua testimonianza sono state le parole finali, dove, con molta dolcezza e nobiltà d’animo ha dichiarato di non nutrire sentimenti di odio e di vendetta. Parole che hanno strappato, in una Sala Consiliare attenta e raccolta, un lungo applauso ed una standing ovation meritata.

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