di Chiara Alfonsi

Nel mese dedicato alle donne voglio parlarvi di Caterina de’ Medici, vissuta durante il tardo Rinascimento e su cui incombette una leggenda di cui parlerò in seguito. È stata l’unica sovrana, nella storia di Francia, ad aver generato ben tre Re: Francesco II, Carlo IX ed Enrico III, per questo è nota come “la Regina madre”.

 Il suo nome completo era Caterina Maria Romula di Lorenzo de’ Medici: Caterina in onore di Caterina Sforza che, con il matrimonio del figlio Giovanni delle Bande Nere e Maria Salviati, riunì i due rami della famiglia Medici; Maria in onore della Vergine; Romula in onore del patrono di Fiesole, San Romolo.

Nata il 15 aprile del 1519, Caterina non conobbe mai i suoi genitori, (Lorenzo II de’ Medici, duca di Urbino e Maddalena de La Tour d’Auvergne) morti quando era ancora in fasce. Fu affidata alle cure della nonna Alfonsina Orsini e, come unica erede della cassa medicea, assunse il titolo di Duchessa di Urbino. Sulla sua educazione nacquero le prime dispute tra il re di Francia Francesco I di Valois, che voleva farla allevare in Francia, e Papa Leone X Medici, desideroso di averla sotto le sue cure. Infatti, Caterina ricevette l’educazione proprio nella Roma pontificia rimanendovi anche, dopo la morte di Leone X, durante il pontificato di Giulio de’ Medici che assunse il nome di Clemente VII. Fu proprio quest’ultimo che, una volta sancita l’allenaza con i francesi, cominciò a pensare ad un matrimonio vantaggioso per la giovane erede con la casata dei Valois.

Dopo il 1527, che vide il Sacco di Roma da parte dei Lanzichenecchi, la rivolta di Firenze contro i Medici e la resa di quest’ultima, i piani per il matrimonio Medici-Valois poterono proseguire con la proposta di Francesco I del suo secondogenito Enrico, duca d’Orléans, per la mano di Caterina allora tredicenne. Ella cominciò a studiare la lingua francese che arrivò a parlare fluentemente il giorno del matrimonio, celebrato il 28 ottobre del 1533 a Marsiglia.

Nella corte francese Caterina venne accolta favorevolmente da tutta la famiglia reale, riuscì a conquistare il re che restò colpito dalla sua intelligenza, modestia e obbedienza, tanto da farla entrare nella cerchia ristrettta del suo séguito ovunque andasse, persino a cavallo per le battute di caccia: è a lei che si attribuisce la cavalcata all’amazzone, che permetteva alle donne di stare  al passo degli uomini e di poter mostrare, in modo discreto, la forma delle gambe.

Nonostante fosse tanto apprezzata dal suocero, Caterina non riuscì a farsi amare da un marito che lei amava moltissimo: egli non aveva occhi che per una sola donna, Diana di Poitiers, più grande di lui di circa vent’anni. Caterina fu costretta ad accettare l’amante del marito dato che, per i primi nove anni di matrimonio, non riusciva a concepire un erede e, dunque, su di lei stava incombendo l’accusa di sterilità e la minaccia del ripudio anche quando, dopo la morte improvvisa dell’erede al trono Francesco, lei ed Enrico divennero delfini di Francia e futuri re e regina. A questo punto, avere un erede era fondamentale sia per la posizione che Caterina aveva assunto affianco a Enrico, sia per quest’ultimo, poichè altri avrebbero potuto prendere il trono, e chissà di Caterina cosa ne avrebbero potuto fare.

Enrico e Caterina vennero incoronati sovrani di Francia nel 1547 e, finalmente, con varie maternità ravvicinate, la sovrana diede alla luce dieci figli, dei quali solo sette sopravvissero. Dunque, la sua posizione e situazione erano salve e lo furono anche quando, nel 1559, Enrico morì a causa di una ferita agli occhi procuratagli da Gabriele de Montgomery durante i festeggiamenti del matrimonio tra Elisabetta di Valois (figlia di Enrico e Caterina) e Filippo II di Spagna.

Era giunto, dopo ventisette anni di sottomissione, il momento di Caterina di prendere in mano le redini del potere. Il primo gesto che fece fu quello di vestirsi sempre di nero, in segno di lutto, a simboleggiare l’autorità di una donna che ora era vedova e madre; mise al primo posto la sua devozione al marito scomparso, alla sua famiglia e all’educazione dei figli. Fu una sostenitrice tollerante nella lotta tra Cattolici e Ugonotti (così si chiamavano in Francia i Protestanti) perseguendo due soli obiettivi: salvare la corona dei suoi figli e garantire la pace religiosa nel regno. Riuscì in entrambi gli scopi, essendo lei una perfetta diplomatica per il suo notevole acume psicologico. Nella sua politica di pacificazione sono passati alla Storia i numerosi banchetti da lei organizzati nella corte: portò in Francia molti alimenti italiani, come l’olio d’oliva, e l’uso di un oggetto che i Francesi non conoscevano perché avevano sempre mangiato con le mani: la forchetta.

Purtroppo, però, la politica di pacificazione voluta dalla sovrana durò poco perché, nella notte tra il 23 e il 24 agosto 1572, si trasformò in un massacro conosciuto come “la strage di San Bartolomeo” in cui, solo a Parigi, furono uccise 2000 persone, comprese donne e bambini. Quale ruolo ebbe Caterina in questo tragico evento non è molto chiaro ma, forse, fu costretta ad agire secondo dei documenti già firmati in precedenza da altri. Questo evento fu una vera sconfitta per lei, che vide crollare la propria autorità. Da questo momento, sulla povera Caterina, albergò una “leggenda nera”: che fosse ricorsa ad ogni mezzo, anche il più estremo, per conservare il potere; che usasse spesso veleni; che fosse unna donna lussuriosa che si circondava di amanti. La storiografia moderna ha voluto, invece, rivalutare il profilo della Fiorentina, definendola come una donna pragmatica, una vedova devota solo al marito, una madre e una regina che agì con coraggio e forza d’animo per salvare i suoi figli e la discendenza dei Valois che, purtroppo, terminò con l’assassinio dell’ultimo re, Enrico III, e vide l’ascesa al trono francese dei Borbone con il genero di Caterina, Enrico IV.

Caterina de’ Medici morì il 5 gennaio 1589, fu una grande sovrana per come condusse gli affari di Stato per la sua diplomazia, per il grande zelo che la caratterizzavano, e non si sottraeva mai agli ostacoli che le si presentavano. Ha certamente fatto più bene che male alla Francia, plasmando anche la politica del secolo XVII.

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