di Fabio Massimo Caruso

Anni ’70. In scena una ciurma di ragazzi appena usciti dal diploma sfangato alla meno peggio. Le preghiere delle mamme hanno evitato il peggio. Pezzo di carta ottenuto per grazia ricevuta. Eravamo pirati ma senza vascello. Il timone buttato a mare, andavamo a vento. Famiglie disperate che si domandavano chi fossimo e da dove eravamo venuti fuori. Alieni, no! Mostri? Certo che sì! Il Beat con “Ma che colpa abbiamo noi” ci faceva sentire eroi e “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones” era una via nuova della musica italiana che faceva “ratatatà” contro ogni guerra. Un suono che si ascolta ancora. Il mondo girava ancora a regime naturale e i Beatles avevano cambiato l’universo. Gli anni ’60 troppo belli per durare tanto. Dopo, come una sentenza, in Italia gli anni di piombo = paura. C’era voglia di luce, il grigio copriva l’Italia. l’Università per noi era un fenomeno atmosferico sconosciuto. In testa c’erano altre cose, vai a capire quali.

Volevamo fare e volevamo scoprire cosa fare. L’enigma volteggiava sulle nostre facce sconvolte dai capelli lunghi, i piedi puzzavano, i nostri capi firmati erano le camicie usate strampalate comprate a via Sannio a poche lire, ma facevamo tante risate, le mascelle ormai allenate potevano partecipare ad una gara di ginnastica artistica. Le scarpe non servivano, avevamo le ali. I sogni accompagnavano le gambe e così camminavano con loro a qualche cm da terra. I sogni erano con noi e noi con loro. La musica era un vestito che non cambiavamo mai, il suo odore regnava sulla nostra pelle. Non è più andato via. E’ ancora addosso. I cantautori iniziavano ad uscire fuori, il “Folk Studio” a Roma era il luogo che li ha pasciuti e cresciuti. Un trampolino che li ha lanciati in orbita perenne. Nel mondo il rock era una marea che si alzava sempre più. Per strada quelli che ci incontravano dicevano: “eccoli so’ loro, scansamose”. Il giorno e la notte per noi erano la stessa cosa ed il sesso era una eruzione spontanea che usciva spontaneamente dai pori della pelle, non ne potevamo fare a meno e non avevamo voglia di tirare il freno. Inutile essere ipocriti. Diciamoci la verità. Quella voglia di tuffarci nel mare della vita rischiando anche di annegare ci aveva catturato.

Insomma che ve devo di’: il diploma l’avevamo strappato, io ero pure un ripetente, facevo schifo. Ma raggiunta l’oasi della salvezza, poi tutti a fare i vitelloni per un anno girovagando come cani sciolti di giorno, fiutando quello che il profumo della libertà concedeva. Le serate finivano in una grande casa di uno dei nostri. Lì dentro si celebravano le liturgie delle grandi abbuffate e feste tipo il film “Animal house” come l’inimitabile maestro Belushi e suoi amici, poi più in là, avrebbero mostrato a tutti. Ad accompagnarci un gruppo di ragazze libere che la pensavano come noi. Ragazze che come noi in piena libertà volevano solo divertirsi. Credo che le donne sono proprio creature fantastiche. Hanno una marcia in più dei maschietti. Bisogna solo amarle e rispettarle.

Ad un certo punto: radio. Un fulmine lanciato dal cielo ha attraversato l’Italia, le nostre teste hanno iniziato ad accendersi come un flipper, decine di sfere argentate rimbalzavano dentro il cranio. E poi silenzio. Uno di noi lo rompe come un piatto e dice una frase storica: “Aoh che volemo fa’, volemo continua’ così? Volemo continua’ a fa’ gli stronzi in giro?” Il fulmine ci aveva illuminati. Così un prescelto, forse un eletto fra noi andò a Zocca, lui aveva amici. Lì era nata una Radio “Punto Radio di Zocca”. C’era fra quella comitiva Vasco Rossi che iniziava come Disk Jockey. Abbiamo studiato come era quella radio e come potevamo metterla su noi. Abbiamo radunato altri amici, radunato più soldi possibili, abbiamo trovato un appartamento a Frascati, posizionato tutta la strumentazione che potevano raccattare in giro, poi un tecnico esperto di comunicazione ha cominciato a collaborare con noi e così poi crash strang stretch, stung e un’altra infinità di rumori-suoni alimentavano apprensioni e tensioni. Una trentina di occhi ed orecchie tese all’attenzione che dalla radiolina sintonizzata sui 103.700 in FM uscisse uno slang una musica, un qualcosina, un lamento e una esclamazione. Niente da fa’.  I tentativi sono stati tanti, da principio con un ripetitore radio della seconda guerra mondiale con pochi watt, sembrava una fisarmonica rubata a Paperino e poi finalmente con un altro diffusore adatto e potente. Goal. Non appena questo si è messo in moto la radio ha cominciato a pronunciare la sua poliedrica personalità.

Punto Radio Frascati. La radio si chiamava Punto Radio Frascati e da Frascati iniziava il suo incredibile percorso. Un successo prima umano e poi radiofonico. Grandi ascolti. Sembravamo tutti nati per fare radio. Le persone ci volevano bene e venivano a trovarci da ogni punto del Lazio e tutti volevano fare qualcosa con noi. Avrò incontrato lì i tipi più assurdi che sbucando dalla saliva della notte salivano da noi in Radio e sputavano storie uscite dalle viscere della solitudine. Le storie non le posso racconta’. Ad un certo punto alla radio c’erano una cinquantina di collaboratori. Trasmettevamo 24 ore su 24. E chi dormiva di notte? Bellissime ragazze frequentavano la radio, eravamo sulla cresta dell’onda. Chi tra noi non presentava programmi andava in giro per Frascati a fare casino. Si faceva a gara per stare con noi. Le persone si sintonizzano e familiarizzano con l’emittente. Le prime pubblicità, i primi artisti che venivano a presentare i loro dischi appena usciti. Amedeo Minghi, Renato Zero, Venditti, Mango, Bassignano, Lo Cascio, Giannini, tanto per citare qualcuno, ma devo dire che da noi sono venuti tutti. Insomma Punto Radio iniziava a divenire popolare, e molto. Attraverso quei mesi, i primi della radio – abbiamo assaporato la forza della comunicazione radiofonica. Radio = Casa.

La radio, e non solo la nostra, era diventata una realtà insostituibile. Ora sono un’infinità.

Ma le radio libere, si chiamavano così, avevano un tocco in più. Avevano una magia che non si percepisce più. C’era più voglia di creare, di inventarsi situazioni e programmi. La nostra radio non era piatta, ma tanto per fare un esempio geometrico, era sferica. Questa rotondità rimbalzava di casa in casa come un’amica di cui fidarsi. Le sue giunoniche curve riempivano di amicizia e calore le pareti ed il cuore delle case.

 

 

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