di Fabio Massimo Caruso

Ciao a tutti, la radio non si ferma mai e come lei anche io continuo la bizzarra navigazione a mare aperto della storia di una emittente che ha fatto scuola. Punto Radio. Olè. Una scuola che si è persa, ma non nella memoria  scrigno segreto, dove sono custodite le coordinate per l’isola che non c’è. La memoria ci faccia ricordare che esiste sempre un bambino nelle tasche del cuore. Se di tanto in tanto da quelle parti sentite un po’ di solletico è lui. Ma i luccichii ed i tintinnii di Trilly che sbava come una matta per Peter Pan ci riportano alla ragione. Diciamocelo regà, ognuno di noi ha la sua mappa della fantasia, annamola a cercà. E dajeee, va beh, stamo sempre a parlà della radio, ma è successo: Marconi ha pescato nel mazzo il jolly che ha connesso il mondo. Forse il primo globalizzatore è stato il prode Guglielmo. Il sottoscritto nell’immenso acquario radiofonico attuale vede una moltitudine di radio come pesci dello stesso colore e dello stesso formato cimentarsi in una programmazione liscia come il culo di una mosca. Ma non è certo il miracolo avvenuto migliaia di anni fa in un lago chiamato Tiberiade quando all’improvviso qualcuno ordinò ad un botto di pesci di finire nella rete. Qui sotto c’è una trama a puntate come una fiction. Le radio ora sono pesci conduttori di pubblicità, il mercato lo richiede. Lo strumento che fa delle onde nell’etere e attualmente dell’oceano webbonico la sua forza penetrativa, nelle case dovrebbe portare energia, imprevedibilità, fantasia in quantità abbondante. E cosa porta? Datemi una risposta. Certo la musica è sempre la musica, ma di quale musica stamo a parlà ? Ma, come se dice, chi s’accontenta gode. Ci sono comunque e per fortuna tantissimi esempi positivi, ma che sono slegati da compromessi e da linee editoriali che indicano la via maestra da seguire. Ma noi che vogliamo riempirci le orecchie non di prosciutto ma di bellezza, abbiamo necessità di quella leggera follia che ci rende animali liberi in una giungla mediatica priva dell’urlo di Tarzan che interrompe un rumore di fondo diventato monotono. La bellezza non fa rumore. Ve lo ricordate l’urlo di Tarzan? Andatelo a cercà. Un consiglio, imitatelo. Tutto ora è un talk show. W le radio, quelle “bone” che fanno immaginare. Il Califfo cantava “Tutto il resto è noia”. Ma è l’emozione che  ci mostra da che parte andare. L’emozione è un seme da coltivare e poi far crescere quotidianamente con coraggio e libertà. Non c’è bisogno “d’annà a cercà Maria pé Roma”. Emozionarsi significa scoprire ogni giorno che abbiamo il sole e che è gratuito.

Le nuvole sopra ce le mettiamo noi. A proposito di emozione. Quando una canzone ha le stimmate dell’immortalità, risveglia negli intrecci sopiti del cuore universi nascosti. Il bello ci riappropria con noi stessi. Vicini e lontani ? Si, siamo noi. Siamo combinati così. Vacce a capì qualcosa. Abbiamo dentro Dr. Jekyll e Mr. Hide, chi facciamo vincere dei due, chi è il più forte, a chi diamo retta? Questo conflitto interiore tra bene e male non provoca pace. Destabilizza. Se prima non estirpiamo in noi il germe della prepotenza, poi non ci meravigliamo se si scatenano guerre sulla terra. Siamo responsabili della nostra vita. Per questo voglio ricordare una canzone che è stata e che è un simbolo di pace. Una canzone nata per essere contro la guerra. Contro ogni tipo di guerra. La guerra nel cuore e la guerra delle armi:

“C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones”.

E’ stata creata ieri ma è come se fosse nata oggi. E’ stata il simbolo negli anni ’60 delle proteste studentesche contro il Vietnam, cantata, anche in italiano, dalla Grande Joan Baez  Joan Baez “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones” è stata cantata all’isola di Wight davanti a 400.000 persone.

In Italia la voce è stata ed è ancora di Gianni Morandi. Ma la cantano ancora tutti. Non esiste nessuno che non la voglia cantare. Una musica sgorgata dal genio del mio grande amico Mauro Lusini che ha dato alla luce con queste note una architettura innovativa nel panorama italiano. Il testo, si sa, l’ha scritto Franco Migliacci, quello di Volare. Se in America la canzone di Bob Dylan “Like a rolling stone” ha mostrato una via nuova compositiva, “C’era un ragazzo…”, lo ha fatto in Italia. Mauro ed io siamo molto amici, direi fratelloni. Un paio di anni fa mi ha scritto come è nata questa canzone. E’ nata così, come una luce che all’improvviso fa giorno e fa fuggire tutte le paure. Poi questo lampo, misteriosamente come un pesce magico, si è infilato nel lago della sua creatività. Ha tirato su la rete e tutto si è compiuto. Cerchiamo un lago dove andare a tirare su un sogno. La speranza non delude mai.

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