di Marco Moretti
(Sommelier Ais)

“…So’ mejo de lo sciampagna li vini de ‘ste vigne…” così faceva il ritornello di Lando Fiorini, nella sua celebre “Nannì””.

Forse non siamo ai livelli delle famose bollicine francesi, ma il livello qualitativo dei nostri vini laziali è sicuramente di tutto rispetto, con delle punte di eccellenza. Con l’inizio degli anni ’90 c’è stato un vero e proprio salto di qualità, dopo centinaia di anni di produzione (si parla di vino nel Lazio dall’epoca degli Etruschi) che potremmo definire “senza infamia e senza lode”, grazie, soprattutto, alla caparbietà dei nostri viticoltori che tralasciando in parte la coltivazione intensiva di varietà internazionali decisero di puntare al recupero di biotipi di tipologie di vitigni autoctoni. Attualmente la coltivazione che la fa da padrone nel Lazio è a prevalenza a bacca bianca. Così troviamo il Trebbiano toscano che insieme alla Malvasia bianca di Candia occupano circa il 60% del vigneto laziale. Il Trebbiano toscano, detto anche procanico, da solo occupa il 38% dei vigneti nel Lazio. Normalmente vendemmiato a metà settembre esprime profumi di fiori di campo e frutta a polpa gialla. La Malvasia bianca di Candia occupa il restante 22%. Vitigno aromatico, con sentori floreali, agrumati e con un finale ammandorlato. Insieme al Trebbiano toscano e ad una piccola percentuale di Malvasia del Lazio danno vita al blend del celebre Frascati. La Malvasia del Lazio, meglio conosciuta come Malvasia puntinata, è anch’essa un vitigno aromatico (come d’altra parte tutte le malvasie) ha riacquistato una buona fetta di mercato sottraendola alla più resistente, ma qualitativamente inferiore, Malvasia bianca di Candia. La sua caratteristica, da qui il nome “puntinata”, deriva dalla presenza inconfondibile di un puntino nero sull’acino in maturazione. Esprime intensi aromi floreali e fruttati quali magnolia, albicocca, mele. Oltre a possedere una buona sapidità. Il Bellone, altro vitigno autoctono, dà un vino profumato di frutti a polpa gialla quali pesche o nespole. Esprime una buona acidità e un buon grado zuccherino che lo candida di diritto ad un processo di spumantizzazione, esaltandone così tutte le peculiarità. Tra gli altri vitigni a bacca bianca troviamo il Moscato di Terracina (vino aromatico con sentori di rose e pesca bianca, adatto ad essere bevuto sia secco che amabile. Ottimo come passito), il Bombino bianco, il Greco e la Passerina. Passando poi alle uve a bacca nera più coltivate troviamo i conosciutissimi Merlot, Sangiovese e Montepulciano. Il Merlot, vino strutturato ed elegante, esprime sentori di frutti rossi maturi, spezie dolci e cacao.  Molto spesso troviamo anche il taglio bordolese di ottima qualità (in particolar modo nella zona dei Castelli Romani), consistente in un assemblaggio di tre uvaggi differenti, Merlot, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc. Sia Sangiovese che Montepulciano, anche se discretamente diffusi, non raggiungono un livello qualitativo alto. Una varietà, che al contrario, esprime tutta la sua potenza e la identifica come vitigno autoctono per eccellenza del Lazio è il Cesanese. Il territorio vocato per questo tipo di vitigno si trova vicino al Parco regionale dei Monti Simbruini e comprende le zone di Affile, Piglio e Olevano Romano. È un vitigno a maturazione medio-tardiva (metà ottobre). Esprime profumi intensi di frutti rossi maturi, spezie, tabacco e cuoio. Ha un’ottima componente alcolica. Altri vitigni a bacca rossa interessanti, anche se poco conosciuti, sono il Nero buono (prodotto principalmente in provincia di Latina) e il Canaiolo nero coltivato sui Colli Viterbesi.

Concludo questa carrellata di vitigni coltivati nella nostra regione con alcuni vini laziali che sono solito acquistare, qualora voleste provarli: Kius, spumante brut da uve Bellone, azienda Marco Carpineti; IX Miglio, bianco da uve Malvasia puntinata, Malvasia di Candia e Bombino bianco, azienda Riserva della Cascina; Tufaliccio, rosso da uve Cesanese e Montepulciano, azienda Marco Carpineti.

Buone bevute e alla prossima.

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