di Elisa Masini

Psicologa clinica specializzata in dipendenze comportamentali e da sostanze

Il tema della dipendenza è da tempo oggetto di interesse per clinici e ricercatori. Per rispondere alle molteplici domande riguardanti il mondo delle dipendenze, gli studiosi hanno a lungo analizzato le dipendenze fisiologiche da sostanze, ma, più recentemente, hanno focalizzato la loro attenzione sulle dipendenze comportamentali da attività, come, ad esempio, il gioco d’azzardo.

È ormai noto che diversi comportamenti, così come accade nell’uso di sostanze stupefacenti, producono una gratificazione a breve termine che agisce sull’istaurarsi della successiva dipendenza comportamentale.

La diminuita capacità di controllare gli impulsi così come la compulsività sono infatti entrambe aspetti centrali nelle dipendenze patologiche da sostanze così come in quelle comportamentali.

Il gioco è una libera attività che esula dalla vita quotidiana “non seria”, ma è tuttavia capace di assorbire intensamente e totalmente i partecipanti. Tale attività si svolge entro propri confini spazio-temporali in base a regole prefissate e in modo ordinato.

Il gioco d’azzardo può essere definito come un’attività ludica che ha come scopo quello di ottenere un premio (denaro e beni materiali…), per parteciparvi è necessario rischiare una somma variabile di denaro o altri beni e, infine, la vincita è dovuta più al caso che all’abilità del giocatore, infatti l’attrattiva per il gioco sta proprio nel gareggiare con il destino e nell’imprevedibilità dell’esito.

La maggior parte delle persone dedite al gioco d’azzardo lo fa per divertimento, senza conseguenze finanziare significative né alcuna difficoltà nel controllare il proprio comportamento. Tuttavia, alcune persone sviluppano una forma disadattiva di comportamento associato al gioco d’azzardo con alterazioni funzionali, riduzione della qualità di vita e frequenza elevata di bancarotta e divorzi.

Il passaggio da giocatore d’azzardo occasionale a quello patologico è determinato dal superamento della paura di perdere denaro: se nel giocatore d’azzardo occasionale l’ansia sperimentata è anticipatoria o riconducibile alla perdita, nel giocatore d’azzardo patologico il malessere proviene dal tempo di non-gioco. In altre parole, la celebre frase consolatoria “l’importante è partecipare” viene sostituita da “meglio perdere che non giocare”. Il vuoto cronico che la persona si accinge ad affrontare nel momento in cui interrompe una partita è intollerabile e carico d’ansia e di instabilità emotiva, soprattutto a seguito di una perdita. La vincita produce dei benefici ed un alleggerimento della pressione ansiosa ma, in seguito alla perdita di una grossa somma, la sofferenza aumenta vertiginosamente e sorge l’urgenza di recuperare denaro per poter giocare nuovamente.

Infine, come in molte dipendenze patologiche, anche nel gioco d’azzardo patologico viene ridotta la dimensione del problema di fronte ad amici e famiglia o si nega del tutto la sua esistenza. La negazione nasce da sentimenti di vergogna che accompagnano il giocatore conferendogli l’immagine di perdente e di “rovina famiglie”. Per reazione, il giocatore diviene con il tempo sempre più abile ad occultare l’entità del proprio coinvolgimento nel gioco d’azzardo.

Secondo il precedente DSM-IV (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), la prevalenza tra la popolazione adulta varia dall’1 al 3% della popolazione, con una maggiore diffusione tra familiari e parenti di giocatori. L’Istituto Superiore di Sanità stima che in Italia l’azzardo è un’attività che coinvolge una popolazione di circa 5,2 milioni ‘abitudinari’ di cui circa 1,2 milioni sono considerati problematici, ovvero con dipendenza.

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