di Marco Moretti
Sommelier Ais

Che il Piemonte sia una terra vocata alla produzione di vini rossi di un certo livello non lo scopriamo di certo oggi. Chi non ha mai sorseggiato un buon barolo delle Langhe dal colore granato e dal patrimonio olfattivo certamente complesso, con richiami di viola, spezie, liquirizia e frutta matura. O il Barbera d’Alba con i suoi colori rosso rubino intenso, nonché i profumi di rosa canina e ribes, more mature e ciliegie, vaniglia e pepe verde. Ma di questi meravigliosi vini, magari, ne parleremo in un altro numero di Tempi nuovi.
Oggi invece vorrei virtualmente invitarvi a fare un percorso di conoscenza di una realtà poco conosciuta, quella dei bianchi piemontesi.
Il Piemonte infatti, possiede una significativa varietà di uve autoctone a bacca bianca. La più coltivata fra esse è il Cortese vino diffuso ampiamente nel Casalese, nei Colli Tortonesi e a Gavi. Il colore è giallo paglierino tenue con riflessi verdolini e gli aromi fruttati sono poco intensi. Vino da degustare in gioventù, il Cortese dell’Alto Monferrato è fresco, con delicate morbidezza e struttura e un finale appena ammandorlato, ideale in abbinamento con uova al tegamino, minestre di riso e spinaci e tagliolini agli ortaggi. Si presta alla spumantizzazione, anche come base per il metodo classico.
Altro vitigno a bacca bianca, molto interessante (e molto apprezzato dal sottoscritto) è l’Erbaluce, la cui coltivazione sulle colline canavesane si perde nella notte dei tempi, ci si produce l’omonimo vino Erbaluce di Caluso. Subito si avvertono sottili profumi di fiori di campo con sentori erbacei e i luminosi riflessi verdolini su uno sfondo giallo paglierino. La struttura è piuttosto delicata, mentre la freschezza rende l’assaggio molto gradevole e adatto ad accompagnare, per esempio, il risotto con le rane, la zuppa canavesana e le frittate a base di ortaggi. Lo si riesce ad apprezzare sia come vino fermo che in versione spumantizzata. Un piccolo gioiello è l’Erbaluce di Caluso Passito, ottenuto da grappoli dorati e ricchi di zuccheri. Un’accurata cernita seleziona solo le uve migliori, che appassiscono su graticci fino a febbraio o marzo, quando sono vinificate per dare quel vino che, pazientemente e per almeno tre anni, perfezionerà le proprie doti in pregiate botti di rovere.
Continuando il nostro percorso alla scoperta dei vitigni a bacca bianca piemontesi incontriamo l’Arneis originario del Roero. Con le Langhe, il Roero condivide la coltivazione del nebbiolo, ma la sua crescente notorietà è merito anche dell’Arneis, un tempo utilizzato per ingentilire i vini rossi, mentre oggi dà ottimi risultati se vinificato in purezza. Sentori di fiori bianchi e camomilla, ginestra e mela, pesca e nocciola, a volte anche leggermente erbacei. L’assaggio è decisamente fresco e con discrete doti di morbidezza, che lo rendono adatto ad accompagnare risotto con scampi e zucchine, soufflé di ortaggi, pollo alla piastra e orata al forno.
Non possiamo non completare questa panoramica senza citare il Timorasso, vitigno autoctono che ha rischiato di sparire anche a causa della fillossera. È una varietà che matura nella seconda metà di settembre e presenta delle caratteristiche che lo rendono molto simili al sauvignon. Presenta una spiccata acidità e sapidità, con sentori agrumati. Forte predisposizione all’invecchiamento e note di pietra focaia e nel tempo anche di idrocarburi che lo avvicina ai Reisling alsaziani e tedeschi. Si abbina molto bene con pesce, crostacei e carne bianca.
Insomma ce n’è per tutti i gusti, basta saper scegliere. Di seguito alcuni consigli:

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