di Elisa Masini
Psicologa clinica specializzata in dipendenze
comportamentali e da sostanze e in sessuologia

La prima adolescenza è il periodo in cui il ragazzo inizia ad affrontare il compito evolutivo della costruzione della propria autonomia dalle figure parentali. Questo compito è gravoso sia per il ragazzo, i cui bisogni oscillano tra voglia di autonomia e sicurezza di un “porto sicuro”, sia per la famiglia che non sa come gestire questa contraddizione.

Le criticità, solitamente, si manifestano nell’ambito scolastico o attraverso l’opposizione alle regole. E, solitamente, i genitori reagiscono a tali problematiche o arrabbiandosi e rimproverando il proprio figlio, oppure utilizzando premi e punizioni per eliminare il comportamento scorretto e rinforzare quello corretto. Tuttavia, in ogni caso, tali strategie non si sono mostrate efficaci.

E allora, che cosa possono fare i genitori per aiutare i figli a diventare autonomi senza che essi cadano nelle problematicità caratteristiche dell’adolescenza?

Prima di tutto, è necessario che i genitori facciano un “passo indietro” per far si che il carattere del proprio figlio emerga. Ciò non significa, però, che diventi il figlio a guidare la famiglia, poiché in tal caso si andrà fuori strada.

La strategia dei premi e delle punizioni viene sostituita con quella della “inevitabile conseguenza”, ovvero si passa dall’idea che il genitore è giudice del comportamento, all’idea che il ragazzo è responsabile delle conseguenze delle proprie azioni. Ciò significa rimandare indietro la responsabilità delle proprie scelte al ragazzo ad essere disposti a correre il rischio che sbagli, perché solo così è possibile offrirgli la possibilità di diventare un adulto responsabile in grado di scegliere e di correggere eventualmente le proprie scelte.

Quando ci si trova davanti ad un figlio che manifesta un disturbo, ovvero che si trova invalidato nell’espressione di sé stesso e delle sue potenzialità da una acuta sintomatologia psicologica, solitamente il genitore cerca di razionalizzare un qualcosa che non ha niente di razionale, cerca di rassicurare il proprio figlio rispetto all’inadeguatezza delle proprie percezioni e all’inesistenza del problema, oppure parla continuamente delle proprie preoccupazioni in merito alla situazione spostando, così, l’attenzione del problema.

Tali tentativi non aiutano. Infatti, l’intervento soccorrevole e le premure nei confronti di un adolescente che si sente rifiutato dagli altri, o che pensa che tutti ce l’abbiano con lui, lo condurrà ad assumere ancor più la posizione di vittima e rinunciare a qualunque reazione costruttiva. Inoltre, la sofferenza e la preoccupazione dei genitori per i problemi del figlio alimentano il disagio. Dunque, si capisce quanto siano di fondamentale importanza i modelli di comunicazione e di relazione all’interno della dinamica familiare.

In conclusione, per tale motivo, è necessario rilevare le peculiarità che caratterizzano il rapporto genitore-figlio, con lo scopo di modificare o bloccare gli schemi disfunzionali.

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