di Chiara Alfonsi

(Liberamente tratto dal libro “Tra Alba Longa e Roma, incontro di studi sul territorio di Ciampino” a cura di S. Aglietti e D. Rose, pubblicato da Città di Ciampino, Assessorato alla Cultura, anno 2005)

 

Il territorio

Il Comune di Ciampino è una realtà amministrativa relativamente recente, risalendo la sua separazione da Marino al 1974. Il suo territorio ha tuttavia una storia antica, con testimonianze che dal paleolitico medio giungono ininterrottamente ai giorni nostri. Fino a tempi vicini a noi ha mantenuto le caratteristiche rurali che aveva in antico, con un popolamento diffuso, senza grandi agglomerati urbani, servito, ancora fino a pochi decenni fa, da quelle che erano state in antico le maggiori arterie stradali: la Via Appia, la Castrimeniense (corrispondente all’attuale Via dei Laghi) la Cavona (o Pedemontana dei Castelli) e i tracciati minori che vi facevano capo. La realizzazione dell’aeroporto e della “città-giardino” verso gli anni ‘20 dello scorso secolo è stata certamente determinante per il cambiamento del territorio, che ha perso ormai definitivamente le sue caratteristiche agricole e pastorizie, invaso in maniera massiccia dal terziario e dall’occupazione edilizia.

 

L’età tardo-repubblicana e il periodo imperiale

A partire dal II sec. a.C. il territorio si popola di insediamenti di carattere agricolo-residenziale, che nel corso del secolo successivo si ingrandiscono e assumono le caratteristiche di vere e proprie ville, e molte di esse dovevano avere caratteristiche di lusso e ricchezza paragonabili a quelle dei più noti tuscuana del territorio di Frascati e Monte Porzio Catone, di cui ci hanno lasciato memoria gli scritti epistolari di Cicerone. Basti citare, come esempi significativi, le ville del Sassone e quella di Voconio Pollione, che fioriranno sino alla media età imperiale, ingrandendosi ed arricchendosi di decorazioni e statue. Una funzionale rete stradale serviva il territorio, sfruttando in parte tracciati risalenti al periodo protostorico, come la Via Cavona, che dall’interno raggiungeva la costa, collegando l’Abruzzo a Bovillae e ad Antium ed incrociando trasversalmente la via Latina e l’Appia. Se ne sono trovati diversi tratti nel territorio di Ciampino, tra i quali è tuttora visibile quello conservato in Via della Cavona o del Doganale, presso l’omonima Mola; altri tratti, successivamente reinterrati, sono venuti alla luce durante i lavori di ampliamento della strada condotti dalla Provincia di Roma nel 1990.

Ma. Come si è visto, le evidenze archeologiche del territorio comunale di Ciampino non si limitano a quest’area. I lavori di realizzazione di un sottopassaggio in località Acqua Acetosa-Marcandreola, tuttora in corso, hanno riportato alla luce, presso la proprietà Capri-Cruciani, una cisterna trapezoidale e resti di muri in opera reticolata e mista, verosimilmente pertinenti alla Villa di Quinto Voconio Pollione, una grandiosa proprietà nota soprattutto per le statue che vi si rinvennero nei secoli XVIII e XIX, oggetto di un contributo nel presente volume.

Allo stesso insediamento appartengono molto probabilmente i resti tuttora in corso di scavo in terreni vicini, tra i quali sono venuti alla luce una strada, un complesso sistema di canalizzazioni, ambienti con vasche e sepolture a fossa. Altri resti pertinenti alla pars rustica della residenza di Voconio Pollione sono rinvenuti nel corso dei lavori condotto dall’ACEA nel 2005 in Via Marcandreola. La vocazione agricola del territorio, rimasta quasi invariata nei secoli, subì una repentina trasformazione con la realizzazione delle linee ferroviarie Roma-Castelli Romani e Roma-Ceprano, realizzate tra il 1856 e il 1892, ma soprattutto con la nascita dell’aeroporto nel 1916 e con la vicina città giardino negli anni a seguire. Gli anni ‘60-’70 dello scorso scolo hanno visto un incremento edilizio che ha quasi completamente snaturato, e in parte distrutto, la natura di questo territorio.

 

La villa di Quinto Voconio Pollione: le vicende ottocentesche

All’ultimo ventennio del ‘700 risalgono le prime ricerche di materiale archeologico “…nelli luoghi del territorio di Marino in contrada o Vocabolo Pascolare di Marco Andreola o Marc’andrea…in vigore della licenza concedutami da Sua Eccellenza…”, all’interno della Tenuta delle Frattocchie, toponimo che sino agli inizi del XX secolo indicava il vasto fondo posto ad oriente della Via Appia.

 

1881 – I primi ritrovamenti

Nel mese di novembre una fonte non precisata informa il Prefetto della Provincia di Roma che in una proprietà del Principe Colonna presso Marino, precisamente nella tenuta data in affitto al commendator Bernardo Tanlogo, in prossimità del tramway Roma-Marino, sono in corso dei lavori durante i quali vengono alla luce “…antichi muri e pavimenti pregevolissimi per i mosaici e la loro costruzione d’epoca romana”. Il Prefetto scrive al Questore di Roma per otenere maggiori delucidazioni e questi inoltra la richiesta al Pretore di Marino: il delegato comunale di Pubblica Sicurezza conferma che nella contrada Muro dei Francesi in Marino sono venute alla luce strutture antiche e che, allo stesso tempo tutto viene distrutto”. Il Questore dispone il sequestro e scrive al Prefetto magnificando la qualità e la quantità dei rinvenimenti, azzardandone una prima fantasiosa interpretazione: non si tratta di una casa colonica, ma di un’antica città da secoli sepolta.

Il Ministero, a questo punto, invia per un sopralluogo il Capo Ufficio Tecnico degli Scavi di Antichità di Roma, l’ingegner Rodolfo Lanciani, uno dei primi e più illuminati protagonisti dell’archeologia romana. Nella sua relazione le responsabilità risultano ben altre: “…il commendator Tanlongo avendo deciso di recingere con macerie parte della sua tenuta, affine di evitare la spesa di cavare sasso vivo a profondità più o meno grande ha dato ordine, o ha autorizzato, o ha tollerato, che i suoi operai si procurassero il materiale demolendo gli antichi edifici che emergono qua e là dal piano di campagna”.

 

1884-1885: le campagne di Boccanera

Nei primi giorni del 1884 Luigi Boccanera, un tarquinese di Corneto che scaverà molti siti archeologici della Campagna Romana, stipula un contratto con la Casa Colonna, accordo in base al quale il denaro ricavato dalla vendita di reperti rinvenuti nel corso di attività di scavo sarebbe stato equamente spartito. Quindi, ottenuto dal Ministero il permesso di ricercare “oggetti di antichità di valore nella Tenuta delle Frattocchie in località Marcandreola” le indagini si concentrano nel settore ad est della ferrovia, nella parte che in seguito si verificherà essere il cuore della villa.

Gli scavi hanno immediato successo. Per elencare quanto scoperto in un solo mese di esplorazioni, occorreranno a Lanciani quattro successivi rapporti: dagli ambienti dell’area centrale della villa emergono numerosissimi frammenti di statue, pavimenti a mosaici, in marmo e, infine, presso la facciata meridionale del complesso, due fistule acquarie in piombo restituiscono il nome del proprietario: Q. Voconi Pollionis.

 

Reperti e mercanti d’arte

Gli scavi, condotti senza altro fine che il reperimento di oggetti di pregio, ebbero inizio in virtù dell’accordo del 7 gennaio 1884 che sanciva la spartizione del ricavato delle vendite tra la Casa Colonna e Luigi Boccanera “…qualunque oggetto si rinvenisse… dovrà esser portato a tutte spese del Sig. Luigi Boccanera in Roma nel Palazzo Colonna in Piazza SS. XII Apostoli onde farlo stimare da due periti scelti di comune accordo… il Sig. Luigi Boccanera sarà incaricato di procurare la vendita il cui ricavato sarà diviso nella proporzione di 1/3 al Principe Colonna e dei 2/3 al Sig. Luigi Boccanera per tutti gli oggetti che non superano il valore di lire trentamila, e del 45% al Sig. Principe Colonna e del 55% al Sig. Luigi Boccanera per tutti gli oggetti al disopra delle trentamila…”.

Malgrado l’autorizzazione di Fiorelli porti la data del 26 marzo, il 22 marzo 1884 Boccanera ed il “…Procuratore di S.E. il Sig. Principe Colonna… vendono al Sig. Commend. Wolfgang Helbig” la statua di Marsia, una statua di pugilatore (l’atleta), il Laocoonte (o Atlante), il satiro, un’aquila acefala con agnello negli artigli ed alcuni candelabri marmorei per £ 18.000.

Bisognò attendere il 1893 perché il Museo Nazionale Romano acquistasse parte dei reperti, nel cui elenco figurano tre delle quattro statue oggetto della seconda richiesta di vendita di Boccanera dell’aprile 1884: la statua eroica con testa giustapposta di Bacco, l’Ercole, entrambi esposti a Palazzo Massimo, e l’Apollo col tripode, oggi a Palazzo Valentini.

 

La distruzione della villa

Nel 1892, in virtù di una permuta, Giulio Capri e Domenico Batocchi subentrarono al Principe Colonna nella proprietà dell’area: la parte settentrionale, sino alla valle di Pantanicci, al Capri, quella meridionale al Batocchi. Tutta l’area era libera da qualsiasi vincolo e prescrizione ministeriale e quella di Capri fu subito interessata da lavori per l’impianto di un vigneto.

Solo nel maggio 1895, con grande ritardo, l’allarme: “…si sta sfasciando la villa di Voconio Pollione al Sassone sotto Marino. Confina colla Vigna Batocchi. Telegrafare al Prefetto”. La voce di Girolamo Torquati, Ispettore dei Monumenti del Comune di Marino, si alzò sdegnata a denunciare, ma nelle sue relazioni puntò il dito non sulle distruzioni operate dal signor Capri, ma sulle campagne di scavo condotte dieci anni prima dalla casa Colonna e sull’atteggiamento, da lui definito accomodante, di Lanciani.

Nel mese di giugno, a seguito di una relazione dell’architetto incaricato del sopralluogo dall’Ufficio Regionale, il Ministro scriveva al Pretore di Marino: “…il Capri non solo ha distrutto…ma ha continuato l’opera…ha manomesso e distrutto altri avanzi, parti dell’aggere della villa, capitelli dorici… tombe…costituendo tutto ciò fatti previsti e puniti… prego la S.V. … a valere di tutta l’urgenza, ed a mezzo dell’Arma dei R.R. Carabinieri, far elevare a carico del Capri verbale di contestazione per tutti i fatti medesimi previsti come sopra, con contemporaneo intimo a sospendere…L’originale di detto verbale sarà poi favorito d’urgenza a questo Ministero, a cui sta provvedere…per procedimento penale civile…”.

L’intervento delle autorità riuscì a salvare solo l’abside dell’edificio occidentale. Nel 1896 il Ministro chiese al Pretore di Marino informazioni sull’esito del procedimento a carico di Capri, e questi in risposta “…è stato definito con dichiarazione di non farsi luogo a procedimento per inesistenza di reato”. Ancora l’anno successivo, per l’ampliamento di un tinello, i Capri chiesero al Ministero il permesso di abbattere l’unica struttura superstite, richiesta raccomandata da ben due lettere del Sindaco di Marino. La risposta fu negativa.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *