di Francesco Rozzo

L’idea di istituire un “Liceo del “Made in Italy”, annunciata da mesi, pretenderebbe di essere una trovata geniale che ci permetterà, in un colpo solo, di colmare le lacune del nostro sistema scolastico e di valorizzare le eccellenze italiane. Vorrei sbagliarmi e costatare nel concreto che tale iniziativa sia quella giusta. Ma, più probabilmente, non lo sarà. Perché in effetti dietro l’annuncio di questa notizia c’è tanta propaganda, ma poca sostanza. La proposta del “Liceo del Made in Italy” conferma la scarsa lungimiranza di un Paese che guarda a decisioni identitarie sterili piuttosto che a farsi carico delle sfide del nostro tempo. Noi siamo convinti che sia necessario cambiare il modello culturale nel quale affonda le radici il sistema educativo, tuttavia questo non può avvenire guardando al nostro ombelico, ma solo aprendoci agli scenari globali che richiedono attenzione e cura, su tutti, tanto per fare un esempio, il riscaldamento globale. Inoltre, in quest’idea si parla dei licei e degli istituti tecnici ponendo un conflitto tra diversi percorsi di studio, in particolare tra un “sapere” e un “saper fare”. Questa distinzione, se interpretata in modo non conflittuale, potrebbe essere un reale trampolino di lancio, con i giusti investimenti, sulla didattica laboratoriale e non – anche qui – soltanto una proposta di dubbio gusto sulla scia di scelte identitarie e sfocate. Piuttosto, se veramente si vuol migliorare, si investa verso quelle metodologie che permettano a tutte e a tutti di “imparare facendo”, proprio per valorizzare i talenti di chi studia e di sostenere i docenti in un autentico processo innovativo e di crescita.

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