di Nicola Viceconti e Patrizia Gradito

Sono le domande alle quali cercheremo di rispondere all’incontro con i cittadini e i lettori di “Tempi Nuovi” che si terrà a Ciampino, presso il Cinema-teatro Piccolissimo, venerdì 22 marzo 2024 (h 18.00).

Nel film di Pedro Almodóvar del 2021, “Madres paralelas”, interpretato dall’attrice spagnola Penelope Cruz, i titoli di coda scorrono dopo una frase dello scrittore uruguaiano Eduardo Galeano:

È proprio partendo da questa affermazione che, in uno dei recenti dibattiti con gli studenti di un Istituto superiore, noi di “Novelas por la identidad” abbiamo trattato la funzione dell’arte in generale e della narrativa in particolare nella ricostruzione della “memoria collettiva”. La citazione esprime la potenza della storia soprattutto nei casi in cui la memoria comincia a perdere pezzi o quando, di questa, se ne fa un uso deliberatamente strumentale e distorto. Dello stesso avviso Giulia Spizzichino, un’ebrea italiana scampata al rastrellamento del 16 ottobre 1943 di Roma, nel suo libro ci ammonisce ad appellarci ai “fatti testardi della storia”[1].

Si tratta di fare attenzione alle interpretazioni erronee di determinati accadimenti del passato nonché agli effetti manipolativi di alcuni simboli e significati a essi legati. Per questo Maurice Halbach nella sua opera “Memoria collettiva” suggerisce di prendere in considerazione la memoria solo se ricostruita all’interno di un “quadro sociale”, una struttura concettuale in grado di tener conto dell’insieme dei valori, degli usi e dei costumi di uno specifico gruppo di riferimento.

In occasione del giorno del ricordo, che si celebra il 10 febbraio di ogni anno, dedicato alla tragedia delle foibe, dell’esodo degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra, il Presidente Mattarella ha dichiarato di recente: “Un muro di silenzio e di oblio (…) si formò intorno alle terribili sofferenze di migliaia di italiani, massacrati nelle foibe o inghiottiti nei campi di concentramento, sospinti in massa ad abbandonare le loro case, i loro averi, i loro ricordi, le loro speranze, le terre dove avevano vissuto, di fronte alla minaccia dell’imprigionamento se non dell’eliminazione fisica”.

Storia e memoria, non sono antitetiche ma compagne di viaggio. Senza sovrapporsi, l’una è complementare all’altra: se da un parte la storia cuce la narrazione sulla base di una rigorosa documentazione, dall’altra la memoria ci restituisce i vissuti individuali che ci permettono di riattualizzare il passato e di sedimentare l’esperienza condivisa convertendola in coscienza.

Le manifestazioni legate alla memoria ci portano ad associarla al dolore, alle vittime di sopraffazioni, a eventi criminosi, verso le quali si nutre solidarietà. Altre forme di memoria meritano altrettanta attenzione, come la memoria del bene, dove prevale l’esaltazione delle gesta straordinarie di persone che si sono adoperate e sacrificate per salvare vite umane anche a costo della propria.

A Londra, per esempio, nel piccolo parco Postman’s Park, nei pressi della Saint Paul’s Cathedral, sono raccolte su una parete delle targhe, piastrelle bianche e blu, come segno di riconoscenza a persone comuni che hanno compiuto gesta eroiche pur di trarre in salvo altre persone. Tra queste la storia di Alice Ayres, una governante che il 24 aprile del 1885, salvò da un incendio i tre bambini che accudiva. Esistono anche in Italia, a Milano e a Perugia, i giardini dei giusti, in cui sono stati piantati alberi per ricordare le scelte di chi ha avuto il coraggio di non restare indifferente. Uno di questi è l’italiano Enrico Calamai, viceconsole in Argentina e definito “lo Schlinder di Buenos Aires” che è riuscito a mettere in salvo più di trecento perseguitati dall’ultima dittatura civico-militare argentina.

Yehuda Bauer, storico dello sterminio degli ebrei a opera del nazismo, nel suo testamento spirituale dichiara: «L’Olocausto, cioè il genocidio degli ebrei, non era unico. […] fu il prodotto dell’azione umana e quelle azioni furono prodotte da motivazioni umane. Nessun Dio o Satana era coinvolto. Pertanto, l’Olocausto è stato senza precedenti, non unico. Il che significa che era, o può essere, un precedente, e che, di conseguenza, dovremmo fare tutto ciò che è in nostro potere affinché non diventi un precedente, ma sia un monito». A Bauer si riconosce il merito di aver posto le premesse per una coscienza universale nei confronti di tutti i genocidi. “non c’è differenza – scrive ancora Bauer – tra la sofferenza degli ebrei, dei tutsi, dei pequot (pellerossa d’America), dei russi, dei cinesi, dei congolesi o di qualsiasi altro popolo che si sia trovato in un omicidio di massa genocidario. Non esiste una gradazione nella sofferenza, non esiste una tortura migliore di un’altra tortura, un omicidio di bambini migliore di un altro omicidio di bambini […] e non esiste dunque un genocidio migliore di un altro”.

 

Venerdì 22 marzo 2024, alle ore 18, cinema “Piccolissimo”

(INGRESSO LIBERO)

Per prenotazioni: gradito.patrizia@gmail.com

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