di Antonella Feligetti

Nel celebrare l’8 marzo non ho resistito alla tentazione di analizzare la scrittura di una donna che non incarna certo lo stereotipo della donna vittima. Istinti omicidi occupano l’animo sia maschile che femminile e spesso il richiamo ad un diverso modo di intendere le differenze di genere, resta inascoltato. Con queste brevi note grafologiche intendo dare un contributo alla conoscenza dell’animo umano con la speranza che si parli sempre più di persone e non del loro genere.

Si tratta di un caso di una serial killer italiana che ho scoperto essere stata in buona compagnia. Diverse sono state infatti le donne killer nel panorama italiano dal 1599 con il ritrovamento in un pozzo di un bambino con la testa fracassata poi scopertosi essere stato ucciso dalla madre Beatrice Cenci al caso del 1993 di tale Rosalia Quartararo abitante a Lodi, ma proveniente dalla Sicilia resasi responsabile dell’uccisione della propria figlia, innamorata del suo stesso uomo.

 

LA SCRITTURA DI LEONARDA CIANCIULLI

Nella scrittura di Leonarda Cianciulli dal tratto marezzato ed irregolarmente inchiostrato una energia potente ed omicida si distribuisce determinando già ad una prima occhiata una inquietante sensazione di disagio. Le “d” liriche (prima foto) e le cadute delle parole finali (seconda foto) denominate a coda di volpe testimoniano rispettivamente il suo bisogno di apparire e la perdita di controllo di fronte alle forti delusioni che la vita le ha riservato con il conseguente bisogno impellente di ristabilire il precedente e patologico equilibrio (?) personale.

Ringrazio Natalia Feliziani per il suo interessante articolo dal titolo LE DONNE SERIAL KILLER dal quale ho tratto le notizie sulla vita di Leonarda Cianciulli.

 

La macabra storia della saponificatrice di Correggio

Molto tempo prima del 1939-1940 – gli anni della “saponificatrice”- Leonarda Cianciulli segue il marito, l’impiegato dell’ufficio del Registro Raffaele Pansardi, a Correggio dove affitta un vecchio appartamento in via Cavour 11/A per viverci con lui ed i suoi quattro figli. Lì ricomincia una nuova esistenza aiutata dai compaesani dopo aver perso tutto nel terremoto della Marsica. Niente mobili, nemmeno i letti, pochi vestiti usati e tanta povertà, almeno fino all’arrivo del denaro riscosso a risarcimento dei danni dovuti alla calamità. Con la somma la Cianciulli riesce ad avviare un commercio di roba usata che gestisce in maniera abile ed intelligente. Piena di iniziative, ma anche strana sebbene mai antipatica, riesce a sollevare rapidamente le condizioni economiche della famiglia. Infedele, come tutti sanno, è un’ottima madre attenta alle esigenze dei figli. Nemmeno la sua relazione con il cascinaio Abelardo Spinabelli la distrae dai suoi doveri materni. Grazie ai suoi nuovi introiti, infatti, pensa subito alla prole. Il figlio maggiore Roberto si iscrive alla facoltà di Lettere di Milano mantenendo comunque il suo posto come istruttore al Collegio nazionale di Correggio. Il secondo ed il terzogenito studiano al liceo classico del paese e la bambina, la “piccola di casa”, viene accolta in un asilo di suore. Ma la donna ha tempo anche per le amicizie, instaura de legami molto forti con tre donne in particolare: Ermelinda Faustina Setti detta Rabitti, ragazza madre di una figlia morta qualche anno prima, Clementina Soavi, nubile occupata nel commercio di abiti usati e nella gestione di un piccolo asilo privato, Virginia Cacioppo, ex soprano che aveva cantato spesso all’estero, considerata a torto da tutti molto ricca, frequentano assiduamente la donna. La sera dell’8 dicembre 1939 la Rabitti si reca dal parrucchiere per dare un nuovo aspetto al suo viso maturo. Il motivo? Una buona amica – andava dicendo in paese da qualche giorno – aveva finalmente convinto il suo vecchio amante a sposarla. Da quel giorno, dopo una visita nell’appartamento in via Cavour, la 10 promessa sposa scompare. I suoi mobili, la biancheria e gli abiti finiscono sulle bancarelle della Cianciulli, incaricata dalla stessa Rabitti, a suo dire, di sbrigare le sue cose dopo le nozze in Umbria. Nell’agosto del 1940 tocca alla Setti. Confida ai paesani che, un’amica premurosa le aveva trovato un posto come direttrice in un collegio fiorentino, per cui deve partire. Il 5 settembre sparisce e i suoi effetti personali insieme alle cose della casa vengono venduti dalla Cianciulli. Due mesi più tardi anche la Cacioppo, il 30 novembre 1940, si dilegua subito dopo una visita a casa Cianciulli. Una grande amica le aveva trovato un posto da magazziniera all’Amministrazione dei Monopoli di Firenze, aveva comunicato a tutti, così doveva trasferirsi. Anche lei, assicura poi Leonarda, affida i propri beni alla rigattiera per venderli ed incassarne il ricavato. La situazione comincia a diventare sospetta. A Correggio la gente inizia a mormorare, tutti suppongono che dietro la scomparsa delle tre donne ci sia ben più di quanto raccontato da loro stesse. Pensano che ci sia la Cianciulli, troppo strana, quasi dotata di facoltà paranormali, forse pericolosa. La signora Fanti, cognata della Cacioppo, va addirittura dai carabinieri, per niente convinta della fuga della parente. Le forze dell’ordine le rispondono che non ci sono prove, allora inizia le sue indagini private. Si piazza sotto un portone di via Cavour, osserva, interroga e analizza. Scopre che Leonarda ha venduto tutte le scarpe, i vestiti e l’unico cappotto della cognata e si chiede perciò con quali abiti questa sia partita per Firenze. Gira l’enigma al questore di Reggio Emilia che lo trova interessante e si incarica personalmente delle indagini. Verso la metà del gennaio successivo il parroco di San Giorgio in Correggio don Adelmo Frattini vende dei titoli, tra i quali risulta anche il buono del tesoro H-241985. E’ uno di quelli di proprietà dell’ex cantante lirica. Scatta l’interrogatorio, il prete dichiara di avere ricevuto il titolo da Abelardo Spinabelli il quale non esita a confessare di averlo avuto dalla sua amante, Leonarda. 11 La donna è arrestata e il suo appartamento perquisito. Gli investigatori trovano una dentiera nel pozzo nero e resti di ossa umane frantumate in solaio. La Cianciulli confessa quasi subito. Racconta di aver ucciso di sua mano la Setti, di averla fatta a pezzi e di aver distrutto il cadavere bollendolo in un calderone insieme alla soda caustica. Dice di aver dato le trentaduemila lire che la Setti aveva in tasca a Spinabelli il quale, secondo il suo racconto, si sarebbe occupato della seconda e della terza vittima. Nascosti entrambi in uno stanzino buio avevano assalito le due donne e le avevano fatte fuori. Poi il cascinaio, esperto macellaio, aveva squartato rapidissimo i cadaveri e lei aveva saponificato i pezzi per farli scomparire. Le dichiarazioni vengono confermate dal ritrovamento dei soldi in casa di Spinabelli, subito arrestato. Anche Don Adelmo Frattini viene portato in carcere, accusato di favoreggiamento e ricettazione. La coppia gli aveva affidato soldi e gioielli delle assassinate per nasconderli e lui li aveva infilati nella cassetta delle elemosine della chiesa di Vezzano sul Crostolo. Lo stesso primogenito della saponificatrice viene fermato per favoreggiamento. Ad istruttoria quasi conclusa la Cianciulli sogna la Vergine con in braccio un bambino nero e, spinta dall’incubo considerato premonitore, chiede un colloquio straordinario con il giudice. L’intera deposizione cambia. Assicura di essere stata lei l’unica artefice degli assassini, di avere squartato e poi saponificato i corpi completamente da sola. Gli inquirenti le credono solo in parte: il cascinaio ed il sacerdote vengono condannati esclusivamente per ricettazione mentre il figlio viene ritenuto complice della donna troppo esile e minuta per aver agito da sola. Rinchiusa nel manicomio criminale di Aversa, la saponificatrice scrive le sue memorie, raccolte sotto il titolo di: “Confessioni di un anima amareggiata” in cui narra fino nei minimi particolari le tecniche di smembramento dei cadaveri, la loro bollitura e dispersione. 12 Vi si legge di torte fatte di sangue umano mescolato alla marmellata o alla cannella o, ancora, alla vaniglia e farcite con polvere di ossa umane che venivano servite agli ospiti, ma anche di come con il grasso delle vittime che affiorava dal calderone, la saponificatrice realizzasse una moltitudine di candele. Questo il movente: ventisette anni prima sposando Raffaele Pansardi, la donna si era opposta alla volontà della madre che l’aveva promessa sposa ad un cugino. Onta imperdonabile che le era costata una maledizione in punto di morte da parte della genitrice: tutti i suoi figli sarebbero morti prima di lei. E così era stato. Leonarda aveva partorito diciassette bambini e solo quattro erano sopravvissuti. Ogni volta che le capitava di sognare la madre uno dei suoi figli smetteva di respirare. Per sconfiggere il maleficio la saponificatrice aveva tentato ogni esorcismo e quando aveva letto nei libri, del figlio universitario, di come nell’antichità si praticassero sacrifici umani per calmare le ire degli dei, si era convinta che quella doveva essere la strada da perseguire. Nel testo americano Il mistero della quinta strada conosce la storia di uno scienziato che uccide per trovare all’anima delle sue vittime un corpo migliore e si persuade di dover fare lo stesso. Per questo, scrive, uccide la Rabitti. La Soavi, invece, credeva fermamente nella vita dopo la morte e, a detta della saponificatrice, è lei stessa a pregarla di ucciderla, certa che con i suoi poteri da strega l’avrebbe fatta rivivere in una forma più perfetta. Con la Cacioppo le sorge qualche dubbio perché fino ad allora non era riuscita a rianimare nessuna delle sue vittime. Ma un altro sogno – un braccio che la tira forte verso un precipizio – la spinge definitivamente ad agire. (Zurli Gian Guido, Studio sulle donne assassine e sulla donna delinquente.)

Riferimento WEB: www.officeitalia.it/scicosi/assassine.htm [02.10.2001

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