di Chiara Alfonsi

Da Mausoleo funebre di Adriano ad avamposto fortificato, da oscuro carcere a dimora papale nel Rinascimento, da prigione risorgimentale fino a divenire un museo. La leggenda del nome e l’intreccio della sua storia tra passato e presente.  

Chiamato, in origine, “Mausoleo di Adriano”, oggi noto con il nome di “Castel Sant’Angelo”, è un grandioso edificio cilindrico commissionato, come citato poc’anzi, dall’Imperatore stesso come Mausoleo funebre per contenere i suoi resti, della sua famiglia e degli altri Imperatori suoi successori, fino a Caracalla, nel 217 d.C. Il progetto di costruzione aveva come riferimento quello del Mausoleo di Augusto, eretto un secolo prima.

La realizzazione del Mausoleo iniziò nel 123 d.C. sotto il regno di Adriano e fu portata a termine nel 139 dal suo successore Antonino Pio. L’edificio era costituito da una base quadrata lunga 89 metri e alta 12, su cui fu innalzato un tamburo colonnato cilindrico in travertino e peperino, con diametro di 64 metri, e coperto da un contorno di alberi ma, posta in cima, spiccava la statua in bronzo dell’Imperatore Adriano mentre era alla guida di un cocchio. L’opera fu eretta sulla riva destra del fiume Tevere, di fronte al Campo Marzio, e il Ponte Elio, chiamato così in onore del Dio Helios, era l’unica via di accesso; le sue numerose statue che lo hanno reso monumentale sono state aggiunte successivamente.

L’edificio assunse la funzione funebre fino al 403 d.C. circa, quando venne incluso nelle mura aureliane per volontà dell’Imperatore Onorio, che lo fece munire di mura rendendolo una fortezza in grado di sostenere gli assalti durante le invasioni barbariche.

Il nome “Castel Sant’Angelo” trae origine da un’antica leggenda secondo cui, durante la peste che colpì Roma la notte del 29 agosto del 590 d.C., il contagio sarebbe terminato grazie all’apparizione dell’arcangelo Michele che si posò sopra il Mausoleo, compiendo il gesto di riporre la spada nel fodero a simboleggiare la grazia concessa. Da quel giorno la Mole prese il nome che tutti oggi conosciamo. Infatti, sulla cima dell’edificio, c’è la statua di un angelo che, nel corso della storia, ha avuto diverse realizzazioni: dapprima in legno, poi in marmo, fino all’attuale in bronzo, scolpita nel 1753 dal fiammingo Verschaffelt.

Nel X secolo l’edificio cominciò la sua seconda vita nelle vesti di Castello e baluardo, con l’aggiunta di un fossato per proteggere la città. Proprio per questo, molte famiglie nobili cominciarono a contendersi la roccaforte: prevalsero gli Orsini, i quali, grazie a Papa Niccolò III Orsini, fecero realizzare il Passetto di Borgo che collegava direttamente il Vaticano al Castello e adattarlo come residenza in cui rifugiarsi in caso di pericolo. Nel 1367 le chiavi del Castello furono consegnate a papa Urbano V per riportare la Curia a Roma dall’esilio avignonese. Anche papa Clemente VII Medici vi trovò rifugio, durante il Sacco di Roma del 1527, per sfuggire ai soldati di Carlo V.

Se da un lato Castel Sant’Angelo fu un luogo di rifugio, dall’altro, però, ebbe il suo lato oscuro e temibile. Sto parlando della sua trasformazione in carcere (ancora oggi visitabili i numerosi ambienti adibiti) voluta da papa Alessandro VI Borgia. La cella più malfamata fu quella detta “Sammalò” o “San Marocco”: il condannato veniva calato dall’alto, respirando e muovendosi appena, per le strette dimensioni.

Durante il XVI secolo Castel Sant’Angelo fu legato alla terribile vicenda della famiglia Cenci, la cui figura principale, Beatrice, fu vittima per anni di abusi da parte del padre Francesco Cenci. Stanca del suo comportamento mostruoso, Beatrice, per salvare sé stessa e la sua famiglia, organizzò l’omicidio del Cenci insieme ai suoi fratelli e alla seconda moglie Lucrezia Petroni. Come? Avvelenando l’uomo con l’oppio e colpendolo nel sonno con un martello sulla testa. Per non far cadere i sospetti su di loro, simularono il tutto come un suicidio e gettarono il cadavere dell’uomo dalla Balaustra di Rocca Petrella, dove aveva rinchiuso Lucrezia e Beatrice e vi si era ritirato ormai malato, celebrando in fretta e furia il funerale. Riesumata la salma, i chirurghi si accorsero che non si trattava di suicidio; tutta la famiglia fu imprigionata a Castel Sant’Angelo e torturata, alcuni membri furono uccisi, e Lucrezia e Beatrice furono condannate alla decapitazione.

Altri personaggi illustri furono imprigionati qui: Benvenuto Cellini, Giordano Bruno, e il famoso avventuriero Giuseppe Balsamo, detto “Conte di Cagliostro”.

Dopo l’occupazione francese alla fine del XVIII secolo, Castel Sant’Angelo fu adibita a caserma e prigione, perdendo ogni traccia e ricordo della splendida dimora papale, nel Rinascimento, oltre che di Clemente VII anche di Giulio II, Leone X e Paolo III. Nel 1900, con l’avvento del governo italiano, l’edificio fu restaurato e destinato a museo, attualmente uno dei più visitati di Roma ogni anno, dopo il Colosseo.

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